MASSIMO BERNARDI :AUTORE DE “I FANTASMI DELLA FABBRICA ALTA”

Buongiorno, sono Massimo Bernardi, uno scrittore di Modena. Vorrei raccontarvi un po’ di me. Sono nato a Modena, dove tuttora vivo, nel 1970. Sono laureato in Biologia ma le mie passioni sono sempre state la scrittura e la fotografia.

Ho pubblicato sei libri di narrativa:

Hanno invaso la Svizzera (edizioni Ensemble 2018; ha ricevuto il premio per la migliore raccolta di racconti al Rive Gauche Festival 2019);

Mandala (romanzo, edizioni Sensoinverso 2016);

Appuntamento alla fortezza (racconti, edizioni Zerounoundici 2013);

Letturista per caso (reportage di viaggio, edizioni Zerounoundici 2012);

e Onjrica (racconti, edizioni Oppure 2001).

Il mio ultimo romanzo è I fantasmi della Fabbrica Alta, Bertoni editore (2022). È una storia ambientata tra fine Ottocento e i giorni nostri, con salti temporali e personaggi che cambiano identità e ruoli nelle diverse epoche. Nel 2021, al premio Firenze in Letteratura, ha ricevuto la menzione di miglior romanzo storico-fantastico.

Altri racconti sono usciti su riviste e antologie. Ho collaborato per qualche anno con il Laboratorio di Poesia di Modena come redattore e autore di testi per la rivista di poesia Steve. Ho scritto alcune sceneggiature per corti e lungometraggi (tra cui Il regalo più bello, menzione speciale al Busto Arsizio Film Festival 2004). Nel 2010-2011 ho seguito un corso di scrittura creativa a Bologna con Gianluca Morozzi.

Nel campo della fotografia utilizzo tecniche miste per elaborare immagini. Ho esposto le sue foto in diverse mostre personali e collettive, tra cui tre edizioni di Fotografia Europea a Reggio Emilia (2011, 2013 e 2015).

Tra i miei interessi vi sono l’arte, il cinema d’autore e l’archeologia industriale, una disciplina a metà strada tra storia sociale, unrbanistica e architettura a cui si ispira il mio ultimo romanzo.

Parlando dei miei gusti musicali, posso dire che ascolto un po’ di tutto. In particolare amo il rock e l’elettronica, il dark e l’indie. L’album a cui sono più legato è senza dubbio Disintegration dei Cure, che nel 1989 accompagnò la mia estate piena di avvenimenti e di cambiamenti, e che poi ho ascoltato ancora per molti anni.

La musica è anche una componente importante quando scrivo. Spesso mentre scrivo ascolto brani musicali strumentali, che mi aiutano a rilassarmi e a scrivere con maggiore concentrazione. A volte scrivo anche testi surreali, flussi di coscienza con immagini accostate senza logica, dove l’ascolto della musica ha molta influenza.

Domande e risposte su “I fantasmi della Fabbrica Alta”:  

1. Come nasce la Fabbrica Alta?

Sembra strano, ma tutto parte da un film. Nel dicembre 2016 andai al cinema con mia moglie a vedere Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali di Tim Burton, un film di genere fantastico, molto visionario, che mi colpì molto. Quella stessa notte ne parlai a lungo con mia moglie e le dissi che volevo scrivere una storia come quella. Tirammo fuori insieme le prime idee in brainstorming su come volevo che fosse la storia. Doveva essere ambientata in due o più epoche diverse, oppure i due protagonsiti potevano avere una storia d’amore in tempi diversi. Dove esserci un mistero da risolvere. Non volevo parlare di me ma di personaggi esterni. Volevo che ci fossero delle suggestioni letterarie dal cinema, come Metropolis, Il Codice da vinci, un pizzico di Fellini, un po’ di Greenaway, effetti speciali steampunk… ma soprattutto, dissi a mia moglie “voglio ambientare questa storia alla Fabbrica Alta di Schio” perchè volevo che fosse, un po’ ambiziosamente, il primo romanzo di archeologia industriale (anche se poi ho scoperto che ne esistono anche altri).

E qui veniamo alla Fabbrica Alta. Sono sempre stato un appassionato di archeologia industriale (spiega cos’è), il mio è un approccio non storico-scientifico ma naif-fotografico, sono un curioso; da molti anni vado in giro a cercare fabbriche, mulini, terme, stazioni ferroviarie, villaggi operai, dighe, miniere, ponti, ecc. anche perchè mi paice fotografare i ruderi abbandonati. Faccio in bici le ciclabili di ferrovie dismesse, ci porto in gita la mia famiglia. Non potevo ovviamente mancare di andare a vedere quello che può essere considerato il tempio dell’archeologia industriale, ovvero la Fabbrica Alta di Schio. È un edificio enorme, sproporzionato per un paese di medie dimensioni, abbandonato dagli anni Sessanta ma ancora abbastanza ben conservato. La Fabbrica Alta faceva parte del Lanificio Rossi, il più grande di Schio. A fine Ottocento Schio era chiamata la Manchester d’Italia per via dei tanti opifici, non c’era solo il Lanificio Rossi ma tanti altri. E dovete immaginare tante ciminiere fumanti contro il cielo.

Andai per la prima volta a Schio nel 2006 durante una Notte Bianca, e averlo visto di sera nell’atmosfera di una festa estiva ne sentii tutto il fascino. In quell’occasione vidi anche il giardino Jacquard, di fronte alla Fabbrica, un gioello di metà Ottocento dove andavano a distrarsi gli operai nelle pause dal lavoro (spiega meglio il ruolo del giardino-stenditoio). Insomma, cominciai allora a prendere dimestichezza con quei luoghi che mi sono così cari. Ci sono tornato altre volte, aggiungendo sempre qualche nuova scoperta: l’asilo Rossi, il teatro, il villaggio operaio, la villa Rossi di Santorso. Questi sono i luoghi reali dove ho ambientato questa storia, che è di genere fantastico ma ha anche profonde radici storiche e territoriali: la Schio e il territorio vicentino dell’anno 1879.     

2. Ci puoi parlare della trama? Cosa succede in questo romanzo?

La trama? No, non si può raccontare neanche volendo! Vi posso dire come inizia, ma poi la storia diventa veramente non raccontabile, e se la leggerete capirete il perchè. (Si può parlare di “romanzo sperimentale” un po’ come lo sono Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino o L’immortalità di Kundera, dove l’autore si diverte a scompigliare il meccanismo della narrazione o interviene lui stesso). Siamo nel 2016. Il protagonista è il giovane Alex, uno studente fuori corso un po’ cazzone che deve finire la sua tesi di laurea in Beni Culturali. La sua tesi è sulla trasformazione delle vecchie fabbriche vicentine in luoghi turistici: Dall’archeologia industriale al turismo delle fabbriche. Il tempo stringhe, mancano solo 4 mesi alla laurea e deve finire il suo lavoro. Per raccogliere gli ultimi dati parte da Casalecchio, dove vive, per andare a fare un sopralluogo alla Fabbrica Alta dell’ex Lanificio Rossi di Schio. E qui devo dire che Alex l’ho fatto un po’ a mia immagine e somiglianza, perchè è simile a come ero io a 24-25 anni: un tipo distratto, che perde tempo e che invece di andare dritto al bersaglio si perde in esplorazioni urbane, e soprattutto ama fare delle fotografie. Così si mette a fare foto dei dettagli della fabbrica abbandonata, poi se ne va un po’ al bar a farsi uno spritz e a mangiarsi le arachidi.

Ed è qui che, riguardando le foto fatte con la sua Canon (lui la chiama Canon cannone), scopre qualcosa di strano. In una foto vede che affacciata a una delle finestre della fabbrica c’è una bambina di cinque o sei anni, con una cuffia rosa in testa. Al momento dello scatto lui non l’aveva vista. La bambina è in piedi e guarda dritto verso di lui. Indossa una specie di grembiulino da asilo, con un largo colletto bianco. Però c’è qualcosa in lei che non lo convince perchè non sembra una bambina dei nostri tempi. Alex la definisce una “bambina antica”. Tra le mani regge un foglio di carta con scritto sopra qualcosa, auemntando lo zoom della fotocamera riesco a leggere. È una parola sola, con una bella calligrafia in corsivo: la parola “aiuto”. E da qui parte l’avventura di Alex, lo studente fuori corso cazzone che si improvvisa detective, perchè vuole scoprire il mistero di quella bambina che è lì ma non dovrebbe esserci. Quindi, invece di tornare a casa sua a Casalecchio, cerca un alloggio per la notte. Lo cerca su Airbnb e lo trova nel centro di Schio, presso il palazzo dei Canarini, un edificio storico. Parentesi: i luoghi descritti sono reali, e uno potrebbe divertirsi a fare un giro per Schio a cercare tutti i riferimenti urbanistici del mio libro.

Così Alex si ritrova nell’appartamento di Umberto, un uomo sulla cinquantina che è paraplegico, sulla sedia a rotelle. È un ambiente un po’ vecchio stile, con un sacco di oggetti e chincaglierie, tra cui la riproduzione di un famoso quadro inglese di fine Ottocento in stile preraffaellita, The Lady of Shalott, che raffigura una giovane pallida e magra, dalla sguardo triste, seduta su una barca ai bordi di un lago. Questo è un dettaglio importante per il proseguo della storia. Alex e Umberto si mettono a parlare e Alex scopre che lui è un pittore, una specie di dandy che ogni tanto fa dei vernissage dei suoi quadri in casa sua con gli amici. Umberto gli offre una fetta di torta all’equiseto e Alex ne mangia addirittura due. Quando poi va a riposarsi comincia a vedere delle cose strane. Forse non era proprio all’equiseto quella torta, ma a qualche altro tipo di erba! Bene, da qui in poi tutto diventa molto molto strano. Ma non vado oltre.

3. Ci parli dei personaggi?

Di Alex e Umberto abbiamo già parlato. Vediamo allora di introdurre gli altri personaggi, che sono essenzialmente altri quattro. Torniamo alla bambina misteriosa della foto, che ha un nome, si chiama Betina Bordignon, con una sola “t” perchè siamo in Veneto e questo è un po’ la cadenza dialettale. Questa bambina abbiamo detto che sembra “antica” e infatti lo è, perchè viene da un altro tempo, precisamente dall’anno 1879. Questo già vi fa intuire l’importanza dell’elemento “tempo” in questo romanzo, di come la storia si svolga in epoche diverse: soprattutto nel 2016 e nel 1879, quindi ai giorni nostri e a fine Ottocento, ma anche in altre epoche comprese tra queste due date.

La Betina è vestita con un grembiule dell’asilo, e infatti viene da lì. Precisamente dall’asilo Rossi di Schio. Ma perchè si trova lì, alla finestra della Fabbrica Alta in un’epoca che non è la sua? Perchè, poverina, è la vittima di un incantesimo. Un bel giorno, mentre gioca a nascondino nel giardino Jacquard, scompare. Colpa di quell’ incantesimo malvagio che l’ha condannata a vivere in una “intercapedine del tempo”, un concetto ricorrente in tutto il romanzo fino alla fine. Ovviamente per essere punita deve aver fatto qualcosa, ma la punizione di essere costretta a vagare nel tempo è un po’ troppo severa, qualunque cosa abbia combinato. E questo perchè la maestra che le ha inflitto la punzione è molto cattiva.

E qui introduciamo Amalia Furlan. Faccio una premessa: in questo romanzo dovete lasciarvi andare, non essere troppo rigidi e schematici, perchè i personaggi sono “fluidi”. In che senso? Nel senso che non hanno un ruolo preciso, possono cambiare ruolo a seconda delle situazioni, e li possiamo trovare anche in tempi e luoghi diversi. Addirittura possono sdoppiarsi in più ruoli. Amalia Furlan è forse il personaggio più camaleontico, quello che sfugge a ogni definizione. Lei è la maestra cattiva dell’asilo Rossi che nel 1879 punisce la povera Betina. Però Alex scopre che lei è anche la relatrice della sua tesi, cioè apparentemente sono la stessa persona a distanza di 150 anni. C’è da dire che questa Amalia ha il dono di invecchiare molto, molto lentamente, e sembra attraversare indenne le generazioni. Ha anche una particolarità anatomica: ha la bocca storta, sfigurata dalla scheggia di una granata austriaca che si è presa nel 1916 durante la Prima Guerra Mondiale. Già, perchè in questa storia ci sono anche i soldati della Grande Guerra.

Un altro personaggio chiave è quella Lady Shalott che avevamo visto raffigurata nel quadro preraffaellita, la fanciulla pallida e magra, che abbiamo visto sulla barca ai bordi di un lago nel quadro che stava appeso nella camera dove ha dormito Alex. Ovvio che anche qui dovete fare uno sforzo di fantasia e prendere per buono che una donna dipinta esca fuori da un quadro come se fosse la cosa più normale. Lady Shalott ricalca il suo personaggio di fine Ottocento, quindi è un’eroina romantica e decadente alla ricerca del suo amore. Ma poi, per il solito giochino dello scambio dei ruoli, diventerà anche una milf tatuata e una donna da marciapiede.

E qual’è l’amore che insegue Lady Shalott? Non certo un bel giovanotto aitante su un cavallo bianco, bensì un umile tessitore del Lanificio Rossi, un maturo operaio della Fabbrica Alta che risponde al nome di Zeno Bordignon. E qui forse avrete notato che ha lo stesso cognome della Betina. Zeno è un operaio che si è stancato delle disumane condizioni di lavoro, e se pensate alla condizione degli operai nelle fabbriche di fine Ottocento non aveva tutti i torti. Zeno è un anarchico, un ribelle, ed è pure un incendiario: ha un piano per dare fuoco alla fabbrica e fare la rivoluzione operaia, con un anticipo di 90 anni sull’autunno caldo del 1969. Poi ce lo ritroviamo anche nel ruolo di prigioniero nei sotterranei dell’Accademia Militare di Modena in un maldestro tentativo di fuga.

Questi sono i personaggi principali, poi ce ne sono altri minori che compaiono più volte. Ad esempio le amichette compagne d’asilo della Betina, i soldati della Grande Guerra, due suore bizzarre che scavano fosse per i morti, e poi lo stesso imprenditore Alessandro Rossi, padrone del lanificio omonimo, che è direi l’unico personaggio storico realmente esistito, che a Schio ha fatto costruire praticamente mezzo paese. Ma è meglio non mettere troppa carne al fuoco.  

4. Perchè quel sottotitolo: “Cosa accadrà il 21 settembre 1879?”    

Notate che dire “cosa accadrà nel 1879” è un controsenso temporale, perchè è un futuro che avverrà in una data del passato, e questo sempre per mescolare un po’ le carte e ribadire che in questa storia non c’è un unico piano temporale ma una sovrapposizione di epoche diverse. Ma veniamo alla data, 21 settembre 1879. Quella è una data storica per Schio, perchè in quel giorno l’imprenditore Alessandro Rossi inaugurò il Monumento al Tessitore: una statua dedicata ai suoi operai, che poi gli abitanti del paese chiameranno affettuosamente l’Omo. Però quel giorno, ai fini della storia, è un momento chiave, dove convergono molti eventi: 1) è anche il giorno in cui la Betina, vittima dell’incantesimo di Amalia la sua maestra cattiva, sparisce dal suo tempo mentre giocava a nascondino in una grotta, subito dopo aver toccato gli occhi fosforescenti di un enigmatico giaguaro di pietra; 2) lo stesso giorno in cui la cuoca Amalia aveva preparato un piatto speciale dai poteri magici da servire a cena ai dirigenti del Lanificio Rossi, per riuscire a controllare le loro menti; 3) lo stesso giorno in cui il rivoluzionario Zeno aveva progettato insieme ad alcuni colleghi di dare fuoco alla Fabbrica Alta. E quando Alex comincia a indagare sul mistero della Betina a poco a poco capisce che la chiave di tutto è in quella data fatidica.

5. So che ti piace molto la fotografia, e anche Alex ha questa passione. Che ruolo ha la fotografia in questo romanzo?

La fotografia è da sempre la mia grande passione insieme alla scrittura. E spesso le due cose sono andate di pari passo, ad esempio in passato ho fatto mostre di fotografie associate a dei miei testi, racconti o poesie. E anche i miei libri sono in genere abbastanza visivi, fotografici. Nella Fabbrica Alta la fotografia è molto presente, basta pensare che la storia parte da uno scatto fotografico di Alex dove si rende conto che c’è un mistero da risolvere. Anzi, posso dire che il libro stesso è nato da alcune foto che ho visto nei libri sulla storia sociale di Schio: direi che ci sono circa 7-8 immagini-chiave della fine dell’Ottocento. L’immagine fondamentale, quella da cui forse è partita tutta l’idea, è il gruppo di quasi 300 bambini in posa sui gradini dell’asilo Rossi verso il 1880, che da origine al primo capitolo del libro. Parentesi: tra l’altro questo primo capitolo è l’estensione di un racconto che avevo scritto alcuni anni fa, e che era già presente nella raccolta di racconti Hanno invaso la Svizzera. Chiusa parentesi. Tornando alla fotografia, una buona parte dei capitoli partono dalla descrizione di singole immagini storiche: ad esempio i bambini vestiti con i costumi di Carnevale, le scene ambientate nel teatro e nel giardino Jacquard, gli operai in posa nel grande cortile della fabbrica con i panni lana stesi ad asciugare. Io stesso sono andato diverse volte a Schio a fare dei sopralluoghi fotografici, che mi sono poi serviti al momento di scrivere.

6. So che nel libro c’è un “punto di svolta”. Cosa ci puoi dire?

Ah qui non posso proprio parlare, perchè farei uno spoiler! In via eccezionale posso dire questo: fino a metà circa il romanzo sembra andare un po’ a caso, senza una direzione precisa. Per darvi un’idea, è come se il lettore salisse su un albero e provasse ad arrampicarsi sui diversi rami per vedere dove portano. È come avere davanti un puzzle e non riuscire a mettere insieme i pezzi. E forse fino a metà potreste chiedervi: ma questo Bernardi dove sta andando a parare? Ma ecco che, proprio a metà del libro, succede qualcosa. C’è uno stacco, quello che io chiamo il punto di svolta. Da lì in poi tutta la storia ha una specie di sterzata, e comincia ad andare verso una direzione ben precisa che si rivela un po’ alla volta. E il puzzle comincia a essere più chiaro. Ma qui mi devo fermare. Quindi, ricordate: dovete avere un po’ di pazienza e riuscire ad arrivare alla metà del libro, dopo è tutta discesa!

7. Leggendo il romanzo si notano delle ripetizioni. Ci sono proprio delle intere frasi che si ripetono. È un caso oppure è voluto?

Non è un caso, è voluto. Direi di più: non ci sono solo delle frasi, ma delle intere immagini o brevi sequenze che si ripetono, magari con una piccola variazione sul tema. Ora, non pensate che io sia pigro e faccio dei copia incolla solo per allungare il brodo e avere qualche pagina in più. Non è questo il punto. In realtà queste ripetizioni mi servono per collegare momenti diversi tra loro, per collegare un capitolo all’altro, per collegare i personaggi tra di loro. E per dare l’idea di una specie di filastrocca che si ripete, come quando canticchiate un motivo musicale più volte. In un libro visionario come questo ci sta che ci siamo queste ripetizioni, questi rimandi, questi flash che rimbalzano da un capitolo all’altro, come un ricordo o un sogno ricorrente. Anche perchè ci sono così tante immagini che ogni tanto è bene ripeterle per memorizzarle meglio, altrimenti uno rischia di dimenticarle. È anche un po’ il mio modo di scrivere che si è consolidato negli anni, una specie di marchio di fabbrica. Se ne trovano tracce anche nei miei libri precedenti. 

8. La Betina sparisce dentro una grotta. Se non sbaglio avevi già scritto dei racconti brevi sul tema della scomparsa.

È vero, nel mio libro precedente, Hanno invaso la Svizzera c’è una serie di racconti dedicati proprio alla gente che scompare. Questo è uno dei miei temi ricorrenti. È anche un modo per collegare la scrittura del presente con quella del passato, infatti mi piace creare dei collegamenti e dare continuità tra le cose che scrivo. Nel caso della Betina che scompare però andiamo oltre, potrei parlare di un auto-plagio! Nel senso che mi sono copiato da solo: nel mio libro Hanno invaso la Svizzera c’è un racconto dal titolo Nel giardino Jacquard, che parla della stessa identica cosa, solo in forma più breve. Mi capita spesso di riprendere una cosa già scritta in precedenza e rielaborarla, cambiarla o estenderla in uno scritto più lungo. Anche il primo capitolo, quello dove conosciamo Amalia Furlan, è ripreso da un racconto sui bambini dell’asilo Rossi. E pure I fantasmi della Fabbrica Alta era già stato scritto in forma di un racconto brevissimo di poche righe, e poi a forza di allungarlo e di stirarlo è diventato un romanzo. Potrei quasi dire che questo romanzo, o almeno il suo nucleo potenziale esisteva già anche prima, era solo sparso in diversi frammenti che poi ho cucito insieme. Ho preso i pezzi del puzzle e li ho messi insieme. 

9. C’è un messaggio, qualcosa che volevi dire con questo romanzo?

Qui si apre tutto un discorso sullo scrivere, dove mi sento coinvolto direttamente. Potrei dire che questo romanzo, al di là della storia in sé, è l’emblema di una frustrazione. Io ho cominciato a scrivere fin da piccolo, quando andavo a scuola. E già allora devo dire che partorivo della pagine molto curiose, avevo molta immaginazione. Poi con gli anni ho affinato il modo di scrivere, ho cambiato le tematiche, ma dall’elemento fantastico-surreale non mi sono mai discostato più di tanto. È diventato il mio modo di scrivere. Però, col tempo, ho cominciato a vivere una certa frustrazione perchè riuscivo a scrivere solo testi brevi, tipo racconti. Quando mi sono cimentato con testi più elaborati, come i romanzi, ad esempio Mandala, ho sempre dovuto affrontare grandi difficoltà, legate soprattutto a questo mio modo di scrivere onirico, frammentato, fuori dalla realtà che è anche un po’ un limite, un problema. Anche questo libro mi ha messo in crisi: dalla prima idea al risultato finale l’ho stravolto e cambiato un sacco di volte, l’ho ribaltato come un calzino. Alla fine la Fabbrica Alta diventa anche un po’ il mio manifesto verso la scrittura, che è stata la mia croce e delizia da tanti anni. Questo però lo vedrete solo alla fine, nell’ultimo capitolo, dove dietro un certo personaggio ci sono esattamente io. Poi, sicuramente, volevo anche trasmettere al lettore la mia passione per questo enorme reperto storico che è l’ex Lanificio Rossi, per la storia sociale dei tessitori di Schio e più in generale per il recupero della nostra storia, del nostro passato fine ottocentesco, un periodo che amo molto. Se sarò riuscito a incuriosire il lettore sul tema dell’archelogia industriale, se lo avrò spinto a cercare fabbriche abbandonate, mulini e ferrovie dismesse, avrò raggiunto il mio scopo.

10. Vuoi aggiungere qualcosa?

Il giaguaro. Occhio al giaguaro. In questa storia c’è un giaguaro di pietra che sembra una cosa buttata lì, e invece è fondamentale. Pensate che avevo in mente un titolo alternativo per questo libro: Negli occhi del giaguaro. Quindi, occhio!

Pubblicato da cambiogiorno

Un progetto web concluso ed archivato

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