
TRE NATALI
Di Vanessa Valente
CASA MASSIMO TEOCOLO
“Mi si chiudono gli occhi, dovrò andare a letto: mi sveglierò presto anche domani mattina e continuerò a provare. Gli spartiti ormai hanno invaso ogni stanza: dormo sotto coperte di spartiti e mangio su tovagliette di spartiti. Sono loro le mie decorazioni natalizie: ogni anno è così, il Natale scivola via rapido, quasi non me ne accorgo. Certo da bambini è diverso: mamma preparava l’albero e nascondeva doni in tutta la casa. Poi al mattino mi sedevo al piano con lei e strimpellavo quelle poche note che mi aveva insegnato. Mio fratello Gianni canticchiava distratto in braccio a mio padre. Era l’unica tradizione della nostra famiglia visto che siamo atei. Credo che i miei avessero voluto garantire comunque a me e mio fratello quell’atmosfera dolce e soffusa, il piacere di avere un regalo senza meritarlo particolarmente. O forse volevano che avessimo almeno qualcosa da raccontare nei temi al rientro a scuola.
Da grandi le festività sono quasi un dovere, scandiscono il tempo del lavoro e quello del riposo. Tutte formalità, insomma. Come gli auguri, le messe e i pranzi in famiglia. Ah, vero: dovrò chiamare mio fratello per invitarlo al concerto. Gianni lo vedo molto poco, lui vive il mondo nella sua interezza, sempre in viaggio, sempre inquieto. Siamo profondamente diversi: io inquadrato nei miei spartiti, lui libero come il vento. A volte non capirsi fra fratelli è una difficoltà ma io credo di volergli comunque bene. Probabilmente anche lui a modo suo me ne vuole. Come dicevo, dovrò invitarlo al concerto, come ogni anno, nel mio mondo quadrato di regole e formalità. Chissà, se almeno per formalità, quest’anno accetterà”.
CASA MONICA FANO
“Ora ti vedo seduto sul parquet che guardi l’albero fatto ieri. Vedo gli occhi neri persi per la stanza e lo sguardo vacuo. Le luci hanno dato colore a tutta la casa. Quest’anno ho voluto fare le cose in grande: ho voluto finalmente realizzare quel Natale perfetto che tante volte abbiamo sognato e troppe abbiamo rimandato.
Ti ho anche comprato un piccolo frac da indossare la sera del concerto della vigilia, col papillon bordeaux, come la mia sciarpa. Non sei stato contento, forse ti sentivi un po’ ridicolo. Ma in cuor mio so che non è solo il vestito che non ti piace, non è più solo un capriccio di bambino: non sei più felice e io, per quanto mi dimeni, non riesco a farti sorridere. Non riesco per cinque minuti di fila a farti dimenticare tutto il dolore: quello che hai visto e quello che hai sentito. Io ho perso mio marito, tu hai perso un padre e la tua infanzia.
Ho iniziato a scrivere questo diario per lasciarti una traccia di me, di questi giorni grigi. Sarai un uomo diverso dagli altri, quello che hai vissuto ti ha cambiato. Una donna te lo leggerà negli occhi, un amico lo ricorderà sempre. Tu, leggendo, potrai forse comprendere i miei gesti, le parole; potrai comprendere te stesso a posteriori. Forse potrai perdonarmi perché ti costringo ad essere felice solo perché è Natale, solo perché domani è il grande giorno del concerto, solo perché un bambino deve esserlo”.
TEATRO COMUNALE, SIGNORA FRANCA POLI
“Le festività sono il periodo peggiore. Tutti vogliono tutto perfetto, pulito e lindo. Io voglio un po’ di soldi extra per i regali e mi tocca pulire. Certo un teatro non mi era mai capitato, la responsabilità qui è più grande: non è la sciura Maria che non vuole far brutta figura con la suocera. Qui deve essere tutto immacolato: tutto deve brillare. La gente deve vedere la bellezza e non sentire la fatica che ho fatto. Miglior attrice non protagonista: Franca Poli”
TEATRO COMUNALE, GIORNO DEL CONCERTO
Alla sera la gente cominciò ad assieparsi davanti al teatro, le guance rosse di freddo e di emozione. Il palco era lustro, il sipario di velluto rosso lasciava intravedere il tumulto del dietro le quinte, quell’emozione scalpitante che muoveva i musicisti ed i coristi in una danza di sussulti e sospiri. La sala brillava di luci, l’albero svettava maestoso, bianco: evocava la neve di una lontana Lapponia.
La signora Franca stava seduta fra le prime file. Aveva indossato l’abito rosso, quello elegante che le ricordava di essere una donna e non solo la signora delle pulizie. Spesso, persi fra mille impegni, ci si dimentica la persona che davvero si è. Si guardava attorno, guardava l’espressione estasiata degli altri e un po’ se ne prendeva il merito. Ascoltò tutto il concerto a bocca aperta, mano nella mano con suo marito.
La musica aveva invaso l’aria e la voce dei coristi vibrava cristallina, sfiorava i volti della gente e richiamava lontani ricordi, infanzie serene, profumo di biscotti e vite di una volta.
Fu spensierato anche Marco, nel suo piccolo frac con il papillon bordeaux: guardava la sua mamma e si emozionava nel vederla così bella sotto i riflettori. La vita lo aveva fatto crescere in fretta ma sua madre era una certezza: la sua voce, il suo sguardo lo stavano accompagnando in una strada che si era rivelata troppo dura. Ma quella sera tutto fu più leggero.
Gianni si ricordò dei Natali con suo fratello Massimo, quando lo sentiva strimpellare e già capiva dell’amore che avrebbe nutrito per il piano. Gianni non credeva nel Natale e non ne voleva essere schiavo. Però credeva negli affetti, credeva in suo fratello e quell’anno fu abbastanza maturo da capire di doverlo dimostrare.
Tante anime, tante vite, sempre lontane, estranee, quella sera si erano sfiorate ed incrociate, sedevano le une accanto alle altre e condividevano la gioia, l’attesa, la bellezza. Non è la fede, non è la tradizione, non è la regola: il Natale è il freno che argina la valanga della quotidianità, degli impegni di lavoro, delle bollette, dei conti in rosso: per un attimo si mette tutto da parte e si assapora la bellezza, si ascolta la musica, si rivede chi da tempo era assente. Il Natale è un’occasione per tendere la mano, abbracciare il vicino, ritrovare se stessi.