Intervista Stefano Bonazzi

A BOCCA CHIUSA che storia racconta ?

L’editore lo ha definito come “la genesi di un serial killer”. Trovo che sia una definizione perfetta perché è proprio di questo che parla il libro. Un ragazzino si trova ad affrontare una difficile convivenza con un nonno-orco, durante una delle estati più afose, in un’anonima periferia del nord Italia. Il nonno è vittima di una malattia debilitante che lo ha costretto a trascorrere lunghi periodi bloccato a letto. Questo stato di inabilità e malessere sviluppa in lui un atteggiamento di estrema diffidenza verso il genere umano, atteggiamento che l’uomo cerca in tutti i modi di trasmettere al figlio. Ma a dieci anni è difficile contenere la fantasia e l’innocenza e il ragazzo si troverà spesso in situazioni difficili, indeciso se seguire le imposizioni del nonno o ribellarsi. Sarà proprio questa sfida tra nonno e nipote, in un crescendo di privazioni e imposizioni, a sfociare in un evento drammatico. Da quel punto in poi sarà tutto diverso e il libro prenderà una piega inaspettata.

Il genere che hai scelto è il noir, cosa ti piace di questo modo di raccontare le storie, racconti la genesi di un assassinio, vuoi essere con noi generoso, raccontarci della vita da solo da bambino del protagonista, del suo, come bambino, stare da solo senza giocare con gli altri ?

Il noir è un genere molto malleabile. Si può utilizzare per delineare drammi ad ampio respiro, con indagini poliziesche, intrighi internazionali e scene action, oppure si può semplicemente attingere dal suo bacino nero per tratteggiare situazioni molto più intime, domestiche e devianti.
Il noir è uno stato dell’anima, è un contesto, è il male contro il male minore, in qualsiasi declinazione, per questo l’ho scelto. Mi trovo molto a mio agio in questo genere, è come avere una tavolozza limitata di colori, ma ognuno di questi contiene numerose sfumature di se stesso e quindi si cerca di lavorare per sottrazione, esaltando solo il necessario, eliminando il superfluo.

Andiamo avanti, entriamo nel mondo del tuo lavoro, quello di grafico pubblicitario, come è trasportare i diritti del mondo commerciale, oggi, nello scrivere ?

Per quanto mi riguarda, sono due mondi completamente separati. Io scrivo per passione, non intendo farne un lavoro. Per questo non mi sono mai posto il problema di rendere le mie parole più fruibili o commerciali, mettere su carta gli incubi mi aiuta ad affrontarli a somatizzarli. Spesso da queste fobie scaturisce una struttura narrativa simile a un romanzo, ma non è sempre scontato. Ho un sacco di scritti che si sono fermati a semplici abbozzi, magari un giorno saranno tutti romanzi, ma per ora non è la mia priorità.

In un altro libro, l’Abbadonatrice, racconti dell’amica di un fotografo che si è tolta la vita, dove ti immergi nei problemi degli adolescenti di oggi, spiegaci come in questo libro, nella sua lettura, possiamo porre la nostra attenzione sul disagio dei protagonisti ?

Ognuno dei tre protagonisti di questo libro è la personificazione di una paura. Sofia incarna, appunto, la paura dell’abbandono, Davide rappresenta il timore della mancata accettazione, in primis di se stesso ma anche da parte della sua famiglia/società, mentre Oscar rappresenta il terrore di non essere all’altezza delle aspettative del padre e sfoga tutto il suo malessere in una serrata competizione artistica. Ho concepito questi tre personaggi come dei puzzle a cui mancavano dei tasselli indispensabili e di cui sono costantemente alla ricerca. Alla base di tutti gli eventi e delle decisioni che prenderanno durante tutto il loro percorso di formazione resta un grande senso di insicurezza e solitudine.

Hai presentato le tue immagini anche all’estero, come sei stato accolto, cosa ti piace fare vedere del nostro paese all’estero ?

Sono sempre stato accolto con grande entusiasmo e positività nonostante le immagini che realizzo rappresentino tutt’altro. In Italia si avverte ancora un certo senso di “chiusura” verso l’immagine digitale. Le elaborazioni fotografiche spesso vengono considerate un passatempo da nerd e difficilmente trovano sbocchi espositivi nelle gallerie italiane, a Londra, Parigi, ma anche in India e in Cina, c’è molta più preparazione e apertura sotto questo aspetto. Per questo motivo, paradossalmente, sono più conosciuto all’estero che in patria.

Un insegnamento che hai fatto tuo nello scrivere una storia che non abbandoni mai ?

Essere sincero, prima di tutto con la pagina, poi con il lettore. Sempre. Il lettore è una persona senziente con grande capacità di analisi e giudizio critico. Se non sei onesto in quello che racconti, lo percepisce all’istante e quel senso di diffidenza poi lo accompagnerà fino all’ultima pagina.

Cambio Giorno chiede sempre ai suoi ospiti di descrivere che rapporto hanno con il cibo. Cosa ti piace mangiare ?

Mi piacciono i piatti semplici che attingono dagli ingredienti e dalla nostra tradizione culinaria. Sono sempre curioso verso le contaminazioni e le ricette di ogni paese, mi piace sperimentare con sapori e accostamenti, anche i più improbabili, ma le verdure dell’orto hanno sempre la precedenza.

Progetti per il futuro ?

Ho ancora molte storie e molti incubi da cui poter attingere. Il quotidiano è una fonte di spunti inesauribile. Alcuni prenderanno la forma di immagini, altri si tradurranno in parola. Adoro anche i racconti brevi e quest’anno ne pubblicherò parecchi su varie testate e antologie, giusto oggi ne è uscito uno qui: http://www.spazinclusi.org/racconti/contemporaneo/gia-il-secondo-giorno/. Mi piacciono le storie minimali, con pochi elementi ma capaci di suscitare domande scomode e forti contrasti nel lettore, perché alla fine è quello che cerco anch’io.

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