Francesca Compagno.

Abbiamo ancora autori da conoscere, nel blog CAMBIO GIORNO, in tempo per la nostra Estate. La scrittura di Francesca Compagno, le sue parole, per non dimenticare, quello che ha realizzato come scrittrice, aprono, il nostro breve incontro. Leggiamo prima della vita, poi del suo percorso, di autrice.

Francesca Compagno si presenta in questa maniera :

Sono nata nel 1980 a Prato, dove ancora vivo. Dopo aver conseguito il diploma al liceo classico, ho frequentato la facoltà di giurisprudenza e lavoro presso uno studio legale.

Ho scritto il mio primo romanzo noir all’età di sette anni con il consenso e il plauso della maestra della scuola elementare e, soprattutto, dei miei amati nonni. Coltivo da sempre l’amore per la scrittura, il pianoforte e la pittura, anche se le ho per un po’ abbandonate in un periodo particolarmente difficile della mia vita, ma l’incontro con un amico dell’adolescenza mi ha portata a una rinascita interiore, spingendomi a riscoprirle. Mi sono anche creata una famiglia, ho adottato cinque cani, mi sono sposata nel luglio del 2015 e sono diventata mamma nel luglio del 2016.

Come scrittrice ho esordito nella narrativa per ragazzi con il fantasy Freeing – La terra delle fiabe (ed. Sarnus, 2014) da me scritto e illustrato. Sul numero 88/89 di giugno 2017 del periodico trimestrale di letteratura “Il Portolano” ho pubblicato il racconto intitolato Sophie. Ho partecipato al 2° concorso letterario “La pelle non dimentica” pubblicando il racconto L’uomo di neve (secondo classificato – giuria popolare – sez. racconti) nell’antologia “La pelle non dimentica” edita da Le Mezzelane Casa Editrice nel 2018. Ho partecipato nel 2018 al concorso Black Moon Street pubblicando nel settembre del medesimo anno con Le Mezzelane Casa Editrice il libro fantasy Tocco Nero. Ho partecipato nel 2018 al concorso “Oscure presenze” classificandomi al terzo posto e pubblicando il racconto La bambola nell’antologia “Oscure presenze” edita da Le Mezzelane Casa Editrice nel novembre 2018. Ho partecipato nel 2018 al concorso letterario “Terre delle Nebbie – Premio Biren – Miglior racconto giallo” pubblicando il racconto Bignè alla crema nell’antologia “L’impronta del giallo” edita da Freccia D’oro nel novembre 2018.

Ho pubblicato nel novembre 2018 il libro Dal lato sbagliato della mezzanotte edito da Le Mezzelane Casa Editrice.

Ho partecipato al 3° concorso letterario “La pelle non dimentica” pubblicando il racconto Fine turno (quarto classificato – giuria tecnica – sez. racconti) nell’antologia “La pelle non dimentica” edita da Le Mezzelane Casa Editrice nel marzo 2019.

Ho inoltre vinto il 1° premio nella sezione romanzi inediti nel medesimo concorso, libro che verrà pubblicato nell’anno 2019.

Ho pubblicato il racconto La Danza dei Dormienti, su Amazon, maggio 2019;

Ho pubblicato il racconto Il Colore delle Stelle, su Amazon, maggio 2019;

Ho pubblicato il racconto Incanto d’Irlanda, su Amazon, maggio 2019;

Ho pubblicato il racconto Nel Nome del Padre, su Amazon, maggio 2019.

Ho pubblicato il romanzo thriller Mauro Belli – Casi di santi e di folli, su Amazon, giugno 2019.

Ho pubblicato il romanzo romance Come cigni neri, su Amazon, agosto 2019.

Oltre alla scrittura, attualmente mi dedico, nel tempo libero, alla pittura, alla lettura, a collezionare fate e folletti di ogni genere e ai miei amati cani.

Pubblicazioni

Romanzi

Freeing – La terra delle fiabe, Sarnus Editore, 2014, disponibile sugli store online e nelle librerie;

Tocco nero, Le Mezzelane Casa Editrice, 2018, disponibile sugli store online e nelle librerie;

Dal lato sbagliato della mezzanotte, nella collana “La pelle non dimentica”de Le Mezzelane Casa Editrice, 2018, disponibile sugli store online e nelle librerie;

Mauro Belli – Casi di santi e di folli, Amazon giugno 2019.

Come cigni neri, Amazon agosto 2019.

Racconti

Sophie, pubblicato nel giugno 2017 sul numero 88/89 del periodico trimestrale di letteratura “Il Portolano”;

L’uomo di neve, (2° classificato – giuria popolare – sez. racconti) nell’antologia “La pelle non dimentica” edita da Le Mezzelane Casa Editrice, febbraio 2018;

La bambola (3° classificato del concorso “Oscure presenze”) nell’antologia “Oscure presenze” edita da Le Mezzelane Casa Editrice, novembre 2018;

Bignè alla crema, nell’antologia “L’impronta del giallo” edita da Freccia D’oro, novembre 2018.

Fine turno (quarto classificato – giuria tecnica – sez. racconti) nell’antologia “La pelle non dimentica” edita da Le Mezzelane Casa Editrice, marzo 2019;

La Danza dei Dormienti, pubblicato su Amazon, maggio 2019;

Il Colore delle Stelle, pubblicato su Amazon, maggio 2019;

Incanto d’Irlanda, pubblicato su Amazon, maggio 2019;

Nel Nome del Padre, pubblicato su Amazon, maggio 2019.

Lisa è la figlia sedicenne di ricercatori. 
Sballottata fin da piccola di città in città, approda a Vaiano, in provincia di Prato, dove conosce Gianni ed è un colpo di fulmine come mai successo prima. 
Tutto sembra andare per il meglio nella nuova scuola, quando nelle chat private dei compagni di classe iniziano a girare foto e video che la riguardano. 
Uno in particolare, molto intimo, rivela che qualcuno a lei molto vicino la sta spiando e perseguitando. 
Angosciata dagli eventi che la vedono protagonista, Lisa si allontana da tutti: il suo ragazzo, il suo migliore amico e i genitori. 
Pur di riacquistare la pace perduta sta per compiere un gesto estremo quando il suo nome risuona nell”aria.  


Come Cigni Neri. Un libro, quello di Francesca Compagno, che scorre come un fiume in piena travolgendo tutto quello che incontra e il lettore stesso, che non riesce a staccarsi dagli avvenimenti in cui incorrono i protagonisti della storia.

Francesca affronta temi seri e attuali come quello del cyber bullismo. In una realtà in cui l’uso dei telefoni cellulari diventa essenziale per gli adolescenti, come può una sedicenne trovare la forza di affrontare tutto quello che la circonda?

Lisa si trasferisce in una nuova città insieme ai genitori, e qui, senza amici, senza parenti, senza un punto di riferimento, si trova a dover costruire il castello di carta in cui barricarsi un pezzo dopo l’altro. Trova un migliore amico, una bulla che la perseguita e un ragazzo per cui perdere la testa ma su quest’ultimo è titubante per via della differenza d’età e non solo: rischia infatti di doversi ritrasferire per via del lavoro dei genitori. Dopo mesi di indecisioni Lisa decide di lasciarsi andare con il risultato che la sua vita, invece di prendere la piega tanto sperata, sprofonda negli abissi del dolore interiore. Nelle chat private dei compagni di classe e di scuola iniziano a girare foto e video intimi di Lisa, un’onda di imbarazzo e un’incursione nella propria intimità che la costringono a combattere contro sé stessa.

Come può una sedicenne sballottata da una città all’altra, colpita nel profondo, trovare la forza di lasciarsi andare all’amore?

Un viaggio difficile e perturbante tra le pulsioni dei protagonisti fatte di passione, tenerezza, incubi, insicurezze e paure che nascono dal senso di abbandono, dalle mancanze e dalla solitudine. Con tratti delicati e al tempo stesso forti, l’autrice parla di un male oscuro, una sofferenza interiore, una solitudine profonda che attanaglia le viscere, lasciandoti solo la voglia di scomparire, quando la protagonista si trova sospesa sulla balaustra del ponte dal quale sta per gettarsi. Perché la paura dell’abbandono terrorizza, la disperazione ci fa perdere il controllo, l’oppressione ci ingoia senza via d’uscita. Tuttavia è anche l’amore il vero protagonista, il deus ex machina che non può essere contrastato e che giunge in soccorso solo dopo aver insegnato a due ragazzi così distanti tra loro ad abbattere certe barriere. Il loro è un amore improvviso e inevitabile, da qui il titolo che si rifà alla teoria del cigno nero.

Come Cigni Neri, il romance che non ti aspetti.

– il genere è romance / Young adult

– link per l’acquisto

– la mia pagina autore

Capitolo 9

Alle otto in punto il rombo del motore si smorza sotto casa.

Non ho bisogno di una scusa per uscire, i miei rincaseranno a tarda sera, ma per sicurezza lascio un biglietto sul tavolo in cui li avverto che tornerò presto, poi saluto Zoe e Margot che riposano serene sul divano.

Scendo in strada cercando di non inciampare nei gradini ingurgitati dai miei passi e, quando attraverso il portone, lo trovo appoggiato alla moto. Fuma una sigaretta tentennando la gamba destra; è iroso, glielo leggo in faccia.

«Ciao», esordisco, cauta.

Alza lo sguardo e la sigaretta gli casca di mano; dopo avermi guardata da capo a piedi, mi viene incontro e, senza dire niente, mi abbraccia infilando la testa nei miei capelli per annusarli a fondo come fossero una droga. Per un po’ rimane immobile, poi mi allontana per incrociare i miei occhi.

«Sei bellissima, da spezzare il fiato.»

Avvampo, non so cosa rispondere. Temo di impappinarmi o di fare la figura della ragazzina lagnosa.

«Non sapevo fumassi», mi esce di botto.

«Solo quando sono nervoso. Mi dispiace che tu mi abbia visto così, ho litigato con mio padre prima di venire qui. Non voglio pensarci adesso. Andiamo?»

Mi avvicino alla moto escogitando un sistema per montarvi. Mi sono attrezzata per il freddo con il giubbotto in piuma d’oca nero, le calze pesanti e le sneackers di pelle ai piedi per essere comoda, ma se mi metto a cavalcioni sul sellino resterò seminuda e con le mutande al vento.

«Sarà un problema salire con quel vestito», denota, divertito dalla situazione. «Tieni, legatelo intorno alla vita.» Mi porge una maglia.

Tentenno, imbarazzata a morte, così ci pensa lui a legarmela in vita, e per riuscire nell’intento è costretto ad avvicinarsi così tanto da poter sentire il suo respiro sulla pelle. Anche se ha fumato sa di buono.

Con le mani strette intorno ai miei fianchi mi issa sulla sella e per alcuni secondi rimaniamo immobili con i cuori che battono all’impazzata.

«Sei pronta?», mi domanda prima di salire a sua volta e accendere la moto.

«Sono pronta», sussurro.

Le curve accompagnano il nostro viaggio cullandoci dolcemente fino a raggiungere la città.

Parcheggiata la moto, passeggiamo lungo il fiume che la attraversa, e rabbrividisco quando mi prende per mano.

Restiamo in silenzio con la testa che si affolla di pensieri: non mi sembra proprio il ragazzo che Simone descrive come menefreghista e sfruttatore, ma potrebbe anche essere una tattica per farmi cascare nella sua trappola.

In quel luogo mi sento in pace. Mi sto innamorando della tranquillità dell’argine e mi ritrovo a fissare il fiume.

La corrente scura mi entra dentro, attirandomi a sé. È così invitante da non poter resistere, e senza capire come mai, immagino il mio corpo che si abbandona alla corrente, trascinato verso l’ignoto.

In quella condizione di annichilimento, con il rumore del fiume che mi ovatta l’udito, avverto in lontananza una voce che mi appare familiare.

«Siamo arrivati», mi comunica, bloccandomi per un braccio. «Va tutto bene? Mi sembravi assente.»

«Tutto bene, mi sentivo in pace. Tutto qui. Entriamo?»

Il locale è molto riservato e tranquillo, speravo proprio in una serata lontana da tutti, soprattutto dall’arpia di Alessia.

Non credevo fosse tanto galante: ordina per entrambi e io lo lascio fare mentre sorseggio un aperitivo. In attesa di essere serviti, parliamo un po’ di noi.

«Innanzitutto, Lisa, dovresti darmi il tuo cellulare. Niente scherzi, stai tranquilla.»

Glielo porgo, reticente, e lo osservo mentre digita il suo numero, procedendo a cercarlo in rubrica, poi me lo restituisce soddisfatto.

«Ho aggiunto un cuore sul mio nome, ora farai più fatica a ignorare i miei messaggi», e ridacchia.

Gli sorrido maliziosa. «C’è altro?»

«Raccontami di te. Riassumi, sedici anni sono troppo lunghi.»

Mi sta provocando e io accolgo la sfida. «Te la faccio più breve possibile: i miei sono ricercatori. Questo comporta spostamenti in varie regioni d’Italia, non saprei dire quante città ho cambiato e nemmeno quanto resterò qui. Forse un giorno si fermeranno. Per loro non è mai stato un grosso problema, io invece ho dovuto soffrire per la mancanza di amici e di radici. Non sono genitori presenti, ma a modo loro mi vogliono bene, se dovessi dire di avere una famiglia convenzionale, direi di no. Ho diverse carenze nella mia vita e questo mi fa soffrire. Vorrei solo poter contare su qualcuno. Fine della mia storia triste, come vedi sono stata sintetica.» Tento di dissimulare il dispiacere, ma gli occhi guardano in basso tradendo vecchi dissapori.

Gianni mi prende la mano e la stringe, c’è una sorta di disperazione in questo gesto. Potrebbe essere la mia àncora di salvezza, come io potrei essere la sua.

«Suppongo che adesso tocchi a te riassumere ventuno anni», lo provoco a mia volta, soddisfatta.

«Sono un ragazzo modello, ho sempre studiato, fatto del mio meglio per riuscire nella vita, come mia madre desiderava da me. Due anni fa è stata uccisa da un pirata della strada e il mio mondo è crollato. Da quel giorno la situazione in casa non è stata più la stessa: silenzi e sguardi sfuggenti, non più un sorriso. Con mio padre non ho mai avuto un gran rapporto e le conseguenze della mancanza di basi forti si vede anche adesso. Siamo opposti e non riusciamo a congiungerci in nessun modo. Lei desiderava che lavorassi insieme a lui nell’azienda di famiglia. Per quanto stia cercando di accontentarla, non credo che riuscirò a onorare tale promessa. So che ultimamente sono molto scontroso, non riesco a rimanere rinchiuso tra quattro mura, ho tanta rabbia dentro da non poterla sfogare tutta. Cerco anch’io quello che cerchi tu, una persona a cui aggrapparmi con tutte le mie forze. Non ho avuto grandi storie d’amore, non perché sono un bastardo come in molti mi definiscono, ma perché non ho trovato ragazze degne di nota.»

«In effetti mi stanno mettendo in guardia, sembra che tu usi le ragazze per poi gettarle via come scarpe vecchie.»

Inizia a ridere di gusto; da questa reazione intuisco che posso stare tranquilla, mi sembra evidente che siano tutte illazioni.

Il cameriere ci interrompe per portarci gli antipasti.

Dopo aver messo sul piatto ciò che ci fa soffrire, possiamo goderci la serata con leggerezza. Il peggio di noi è già noto a entrambi.

Accompagniamo la cena con chiacchiere generiche sui nostri gusti e le nostre passioni, scherzando come se ci conoscessimo da molto più di qualche mese.

Salutati i proprietari del ristorante, che sembrano conoscere perfettamente Gianni, ci fermiamo un attimo all’esterno perché il suo cellulare inizia a squillare.

Lui guarda il display. «Scusa, devo rispondere: è Stefano, il mio migliore amico.»

Annuisco, allontanandomi di poco. Appoggiata alla balaustra che affaccia sul Bisenzio, rimango incantata dallo scorrere scuro e impetuoso, anche se, al chiarore dei lampioni, non si distingue se non l’increspatura delle onde che, smosse dalla corrente, luccicano tingendosi d’argento.

Lisa, Lisa, Lisa. Mi sembra di udire una sorta di canto delle sirene ipnotizzante. E subito dopo spastica, spastica, spastica.

Scuoto la testa per allontanare quelle voci, quando due braccia mi cingono la vita. Mi sembra di squagliarmi con l’emozione che mi invade, rabbrividendo dalla testa ai piedi. Con il mento appollaiato sulla mia spalla sinistra, mi sposta i capelli per baciarmi il collo. Quel contatto è come una scossa che mi manda completamente in corto circuito.

«Mi dispiace, piccolina, devo andare. Stefano ha un problema, non posso lasciarlo da solo.»

Sono dispiaciuta dalla cosa, ma non posso pretendere che lasci il suo migliore amico da solo se ha bisogno di aiuto.

«Ci mancherebbe. Io terrò con me questo abbraccio e questo bacio tutta la sera, ripensando a noi.» Sono stata melensa e infantile, ma lui non pare avere la stessa impressione, anzi, mi stringe ancora più forte a sé, quasi abbia paura di perdermi.

Con calma torniamo verso casa. Assaporo il movimento ondulatorio della moto, le accelerazioni e le frenate, ed è così potente da farmi sentire al sicuro.

Sono solo le undici, speravo di poter stare con lui ancora qualche ora, ma arriviamo presto a casa. Avverto come se ci sia qualcuno che rema contro di noi, e una sensazione di angoscia mi assale.

Sotto casa mi bacia sulla guancia con una passione tale da diventare quasi impossibile da contenere. Sento come un migliaio di spiritelli che corrono dentro lo stomaco.

«Fai la brava, ti chiamo dopo.» Mi strizza l’occhio infilandosi di nuovo il casco.

Lo guardo correre via, lontano da me. Quando scompare alla mia vista, mi metto a cercare le chiavi nella borsa e mi meraviglio nel trovare un cigno nero di carta nera profumata. Come fa a farlo apparire?

Glielo chiederò alla prossima occasione, se ci sarà.

«Sei rientrata adesso?»

Schizzo dalla paura e mi volto lentamente. Non riconosco la voce e sono terrorizzata da chi potrei ritrovarmi davanti.

Poi rifiato. «Simone, mi hai fatto prendere un colpo! Che diavolo ci fai qui a quest’ora?», lo incalzo per fargli scontare il cuore a mille e l’affanno.

«Ero da mia nonna, sono venuto via adesso. Attendo che scenda mia madre per tornare a casa. Ti sei divertita?» Ha un tono rassegnato, quasi geloso dal fatto che sia uscita con qualcuno che non sia lui.

«Abbastanza devo dire. Ora, se non ti dispiace, sono stanca. Ci vediamo domani.»

«Anch’io sono stanco, mi racconterai domani. Buona notte Lisa.»

Mi chiudo il portone alle spalle e, senza aspettare l’ascensore, corro su per le scale. Sono tesa: temo che qualcuno possa seguirmi come nei migliori film horror. Con le mani tremanti apro la porta blindata e la richiudo con una tale foga da fare un gran botto che rimbomba per le scale del palazzo.

L’appartamento è ancora vuoto e silenzioso, e io tremo. Non so perché sia tanto tesa, mi ripeto che sono una stupida. Mi dispiace persino di avere trattato male Simone, mi ha impaurita uscendo fuori all’improvviso. Domani mi scuserò.

Questa è una storia di amori malati, di amicizia, di sorellanza. Di donne violate, sfruttate e abusate da uomini da poco. Racconta la forza dell’amore e l’implacabilità della morte. Un racconto difficile e doloroso che parla della realtà di tutti i giorni, spesso taciuta e tenuta nascoste. È una storia di lotta contro un male incurabile e di un uomo grande e degno di essere chiamato tale. Pagina dopo pagina il lettore si troverà davanti tutta la sofferenza che una donna possa sopportare nella propria vita, ma anche la capacità di trasformare una grande amicizia in amore fraterno. 

Un pomeriggio, era il suo giorno di riposo, rincasò visibilmente alterata dai fumi dell’alcol. Per evitarle conseguenze irrimediabili, accorsi in suo aiuto, bloccando i miei e implorandoli di darmi l’opportunità di capire cos’altro fosse successo. Volevo essere io la prima a parlarle: avrei risolto la situazione, evitando che mio padre la licenziasse. Entrai senza complimenti nella sua camera e chiusi la porta dietro di me.

Gabriela andò in fondo alla stanza, si appoggiò con le spalle alla finestra e restò in ascolto, seduta sul calorifero sottostante. Mi guardava negli occhi, con un viso che mi parve molto stanco e segnato. La raggiunsi e la spinsi sul letto, iniziando la mia predica. Sembravo più una madre che un’amica, ma qualcuno doveva intervenire, prima che rovinasse la sua vita perdendo il lavoro che le dava la possibilità di rimanere in Italia. Io parlavo, parlavo, ma lei adesso teneva gli occhi bassi. Quando mi concessi alcuni istanti di silenzio, per darle l’opportunità di replicare, lei pronunciò solo tre parole: «Sono stata stuprata.»

Si gettò tra le mie braccia e scoppiò in singhiozzi. Io la tenni stretta. Non sapevo cosa fare, cosa dire. Avevo letto del rimorso della vittima che, non riuscendo a reagire, gridare o difendersi, si ritiene colpevole per quanto accaduto. Sentirsi responsabile per un atteggiamento, per una parola non detta, per non aver fatto qualcosa, è uno sbaglio imperdonabile. Dopo aver asciugato le sue lacrime e calmato i singhiozzi che le spezzavano il fiato, riuscii a domandarle quando fosse successo. Dove si trovava e se conosceva il suo stupratore. Quanto emerse dal suo racconto mi lasciò senza parole. Non me lo aspettavo. I ricordi erano affiorati dopo la morte di Ana. Lo shock causato da un dolore così grande aveva riportato a galla tutto, investendola come un fiume in piena. Ogni notte, verso mezzanotte, qualche dettaglio in più emergeva. Prima erano semplici percezioni, poi si svegliava di soprassalto con la sensazione di essere stata violata. In un bagno di sudore si alzava, accendeva la luce sul comodino e controllava la stanza. Ovviamente nessuno era entrato nella sua camera mentre dormiva. Poi erano cominciati dei veloci flashback, anche durante il giorno, che le riempivano la mente. Sentiva sul collo, sulla sua pancia e giù, fino alle parti intime un odore rancido di alcol e tabacco; sentiva che queste ultime venivano prima dilatate manualmente, poi con ripetute penetrazioni.

Sembrava tutto così reale da non riuscire a capire se fossero ricordi di una vita che non le apparteneva o pura immaginazione. I luoghi che intravedeva, un po’ sfocati, le ricordavano qualcosa che non riconosceva. Più si sforzava, più tutto diventava confuso. Probabilmente la vicenda della sorellina le stava provocando incubi ricorrenti, doveva solo capire come riuscire a fermarli. Per un attimo pensai che la follia si stesse impadronendo di lei o che avesse una fervida immaginazione. Desiderava sfogarsi, parlare con qualcuno, ma quei pensieri la facevano vergognare di se stessa, di suo padre, di tutta la sua famiglia. Quel pomeriggio, mentre era in giro per il centro di Firenze con la sua amica Raika, si erano fermate in un caffè a salutare il compagno russo di lei, che era in compagnia di un amico. Inizialmente quel ragazzo le era sembrato gentile e carino, poi, scambiandola per una delle dipendenti del russo, aveva esagerato, spingendosi un po’ oltre con le avances. La mano posta sulla gamba, prima per scherzo, poi insistente verso l’inguine, era stata come una scossa elettrica che aveva riacceso ciò che era sopito e le aveva provocato una tale sensazione di disgusto da innescare una sorta di esplosione. Per lungo tempo aveva difeso se stessa rinchiudendosi nel suo dolore e fingendo che nulla fosse accaduto. Ora però la vita le aveva presentato il conto: quelle sensazioni, quei mezzi ricordi, quegli incubi, non erano frutto della fantasia. Era la sua vita passata. Non era stato un estraneo ad abusare di lei, bensì suo padre. Per anni aveva violentato lei e le sorelle. La sera, quando rincasava tardi e ubriaco, sceglieva di quale figlia approfittare. Osservandolo dalla finestra che affacciava sul giardinetto frontale, più volte lo aveva visto serrare le mascelle e gettare il mozzicone di sigaretta. Non sembrava contento di rientrare in casa, il che significava che avrebbe sfogato la sua rabbia su qualcuno. Avrebbero dovuto dormire sonni tranquilli, come qualsiasi altro bambino, invece si erano ritrovate a camminare a testa in giù, dal lato sbagliato della mezzanotte, inseguite da un mostro in carne e ossa.

– genere violenza sulle donne

– link 

Riley e Marcus, due giovani sanguemisto magici, vengono attaccati e separati da Abraham, uno stregone. Mentre Marcus, che lotta con tutte le sue forze per riunirsi con la sua amica, è costretto a subire pozioni e anatemi che rischiano di ucciderlo, Riley si risveglia in una foresta tenebrosa, in cui trova i cadaveri di quattro fate. Catturata dagli orchi, verrà portata nel castello di Abraham, l’assassino dei suoi genitori. L’incontro con lui, però, le farà provare sensazioni inaspettate, soprattutto quando si renderà conto che lo stregone non è malvagio come aveva pensato. Deciderà così di unirsi a lui per trovare il responsabile delle misteriose morti delle fate. I due dovranno salvarsi dall’ira della regina delle fate, individuare un traditore e combattere un negromante appena risvegliato e assetato di potere. In un turbinio di incontri, scontri e tradimenti, nell’eterna lotta tra luce e ombra Riley dovrà scegliere da che parte stare e a chi donare il suo cuore. 

Lo avevo guardato fisso negli occhi, pronta a ucciderlo. Poi avevo preferito lasciarlo in vita per condannarlo a un’esistenza senza magia, come un comune essere umano. Grosso errore. Erano passati solo sei mesi dalla mia sospensione da scuola per aver aggredito un insegnante quando me lo ero ritrovato davanti, con nuovi poteri. Mi aveva presa alla sprovvista sul prato del Big Lagoon State Park, pretendendo che andassi con lui senza spiegarmi il motivo. Aveva gettato Marcus in uno dei due portali, poi aveva trascinato me nell’altro. Giunta dall’altra parte, però, ero riuscita a liberarmi e a respingerlo. Perso il contatto con lui, mi ero poi ritrovata da sola in quella soffocante e intricata foresta. E ora eccomi qui, non so dove né ospite di chi. Spero che quel maledetto non mi trovi e spero che a Marcus non sia successo nulla di male.«Sei mia.» Scossi la testa al ricordo di quella frase. L’idea di appartenere a quell’assassino mi faceva rivoltare lo stomaco. Mentre ricordi e pensieri mi affollavano la mente avvertii due mani possenti posarsi sulle mie spalle strofinandomi la pelle. Il gelo che mi attanagliava improvvisamente si dissolse. Il riflesso sul vetro della finestra mi fece sobbalzare più del suo respiro sulla nuca. Era Abraham Asbury. Mi voltai lentamente, fino a trovarmi faccia a faccia con il carnefice della mia famiglia. «Tu? Avrei dovuto ucciderti quando potevo!» gli urlai contro. L’odio e la sete di vendetta mi accecarono per un istante, ma sopraggiunse un inaspettato imbarazzo. Mi sentii avvampare e per la prima volta notai di quanto mi sovrastasse. I capelli neri, che a scuola teneva sempre lisciati indietro, incollati con il gel, erano ora raccolti in una coda ordinata. Gli occhi blu scuro, screziati di oro lucente, da quella distanza minima mi apparvero più profondi di quanto ricordassi. Era giovane, incredibilmente giovane e attraente per uno stregone centenario. Il suo abbigliamento era insolito, almeno per me che ero abituata a vederlo in jeans attillati, sneakers ai piedi, camicie scure aderenti, giubbotto di pelle avvitato e orecchino luccicante al lobo sinistro. L’uomo in piedi davanti a me sembrava uscito da uno dei quadri che ornavano le pareti della stanza: pantaloni da cavallerizzo, stivali al ginocchio, camicia con sbuffi di merletti al petto e marsina. Vestiva come un lord dell’Ottocento, ma questo lo rendeva ancora più affascinante. Rimasi a fissarlo inebetita per diversi secondi, incerta su cosa fare, dire, persino pensare. Ero sopraffatta dalle mie emozioni, alcune contrastanti tra loro. Fu lui a rompere gli indugi. «Quando ci siamo affrontati, alla scuola di magia, sapevo bene che avrei potuto avere la meglio su di te, ma ho capito che era giunto il momento di pagare per i miei errori del passato, perciò ho lasciato che mi punissi. Dovevi castigarmi per potermi perdonare, ti chiedo di farlo ancora per averti portata qui con la forza, non avevo altra scelta.» «Do… dove mi trovo?» «Queste sono le terre dell’Oscuro Mietitore.» Lo indicai, perplessa. «È un tuo parente, o…» Gli scappò una risatina che lo rese quasi irresistibile. Inspirò prima di rispondere e io gli osservai le labbra, attendendo la sua prossima parola come se fosse oro. «Temo di essere io», rivelò, sforzandosi di non apparire troppo scontento. «Abito in queste lande sperdute da moltissimo tempo. Presumo ti chiederai perché ti trovi qui.» Odiai quell’ultima frase. Sapevo benissimo perché mi trovassi lì: mi aveva rapita. L’idea di sentirmi ripetere che gli dispiaceva, che cercava il mio perdono per la morte dei miei genitori, e altre scuse, mi indispettiva. «Perché non desideravo nient’altro che rivederti», rivelò lui. Il mio cuore perse un battito, di colpo mi ritrovai le gambe molli e il fiato corto. Non sapevo cosa rispondere, continuavo a provare un forte smarrimento. La rabbia che covavo sembrava essere svanita del tutto e in quel momento, mentre lo guardavo, non desideravo altro che baciarlo appassionatamente anziché ucciderlo con le mie mani. Erano sentimenti inaspettati, che non riuscivo a spiegarmi e che rifiutavo con tutta me stessa. Fu lui a mettere fine alla mia guerra interiore blandendomi: «So che il mio invito a cena non è stato proprio ortodosso, ma sarai affamata. Vieni.» Mi tese una mano, che restò a mezz’aria un po’ prima che mi decidessi a sfiorarla. Nel momento in cui lo feci, percepii un piacevole formicolio alle dita che mi incoraggiò ad appoggiare il mio palmo sul suo. Con delicatezza lui mi strinse la mano e mi condusse al tavolo. Una volta seduti non mi lasciò e quel contatto prolungato si riempì di potere e di oscurità. Non era un tocco malvagio. Oscuro, sì. Una piccola scarica mi percorse, riempiendomi tanto di energia, quanto di interrogativi.Volevo rimanere lucida; allontanai la mano dalla sua e lo incalzai: «Se eri così interessato a rivedermi, come mai mi hai rinchiusa come una prigioniera nelle segrete del castello? Credevi che non mi sarei indispettita per questo?» La sua aura divenne nera.

FANTASY – LINK PER L’ACQUISTO

– genere thriller- link

L’autrice ci segnala una serie di frasi prese da ogni singolo racconto.


Sono io la causa del loro dolore, sono io che ho deciso le sue sorti, io sono come Dio, sempre io devo decidere quando fare le mie mosse. 

Un estraneo al mio fianco


Il rumore metallico era forte, l’odore di ruggine corposo. Laura urlava disperata, non l’ho lasciata andare, non potevo. Le ho tagliato il piede per darle una lezione, doveva capire chi amare.

Io sono Francesco


Non ci sono testimoni del mio delitto, l’unico che può parlare è il fiume, ma l’acqua, si sa, non ha parole e lava via ogni traccia. Posso riposare senza pensieri.

Il silenzio dell’acqua


Succede da tanto. La prima volta mi ha presa alle spalle, era buio, non sono riuscita a reagire. Mi ha uccisa e ha ucciso il voto che mi accingevo a fare. Io ho desiderato fare lo stesso.

Il santo peccatore

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