
Lei ricorda i suoi studi al liceo, nella sua biografia sul sito web, che possiamo leggere all’indirizzo www.rossellamaggio.it. Quindi sin da piccola è stata affascinata dai libri. Cosa le piaceva leggere, ad esempio, delle letture dei suoi genitori, cosa, invece, di quello che si studiava sui banchi di scuola ?
Ho letto di tutto e sin da piccolissima. In casa dei miei nonni, i cui figli e cioè i miei zii, portano i nomi dei grandi protagonisti dell’Iliade e dell’Odissea, dell’Orlando Innamorato e dell’Orlando Furioso, delle tragedie shakespeariane, era un’abitudine della sera quella di leggere i classici. La mitologia e la favolistica dei fratelli Grimm, e non solo, hanno nutrito i miei primi anni. Mi innamorai poi dei gialli Mondadori per ragazzi che non avevo ancora dieci anni. Seguì l’opera completa di Agatha Cristhie per la quale nutrivo un’autentica passione. Ma presto fui attratta dai libri che leggevano gli adulti, libri che mia madre, professoressa di Lettere, selezionava propinandomi per esempio “La ragazza di Bube” di Cassola e altri che riteneva adatti alla mia età. Ma io la vedevo leggere Moravia, Amado, Marquez, Maraini, Fallaci, Allende, Bevilacqua e tanti altri che ora non ricordo, così di nascosto mi impossessai degli “Indifferenti” di Moravia che lessi, all’età di tredici anni, tutto d’un fiato. Fu uno shock: quello che la grande letteratura descriveva era la vita vera, senza filtri, senza sconti, senza ipocrisie. Me ne innamorai all’istante e da lì non smisi e tutt’ora non smetto di leggere, a volte di rileggere, tutti i grandi scrittori russi, francesi, americani, giapponesi, cinesi e, naturalmente anche italiani. Sui banchi di scuola arrivavo con un carico d’informazioni che stupiva i professori, anticipando spesso la ricerca domestica su un autore preannunciato prima ancora che venisse trattato in classe. Ricordo però che non amavo molto Manzoni. Lo ritenevo non all’altezza del romanzo francese, già molto più articolato e moderno, soprattutto svezzato dal cattolicesimo imperante in Italia. Questo mi è valso qualche richiamo al rispetto dell’amor di patria. Adoravo invece, Pirandello, Gide, Kafka, Joyce, Gadda, tutti i poeti maledetti, ma anche Mallarmè e il suo simbolismo.

Il suo primo libro è del 2013, in Sostanza l’Amore, è il titolo, come è arrivata a scrivere, quanto tempo ha aspettato per decidere di passare da lettrice ad autrice ?

“In sostanza l’amore” non è il mio primo romanzo, è il primo romanzo che ho pubblicato. È stato preceduto da numerose prove d’autore delle quali non ero mai totalmente soddisfatta, in quanto potevano essere considerate racconti anche lunghi, ma non avevano ancora, a mio avviso, la ricchezza e la complessità del romanzo. C’è da dire che, in quegli anni, mi sono occupata con vero piacere della famiglia, dei figli in crescita e dell’insegnamento, per cui il tempo da dedicare alla scrittura era davvero poco. In realtà, però, ho scritto sempre anche quando non pubblicavo e ho comunque pubblicato per anni articoli e recensioni su riviste e giornali. E non ho mai smesso di leggere, continuando oggi a “subire il fascino della parola scritta”, come mi dicevo da adolescente, che sia degli altri, che sia la mia. Quindi mai nulla, nel privato, mi ha diviso dalle mie passioni, che sono andate poi a formare la piena confluita nel mio primo romanzo pubblicato. Ma la base di un buon romanzo resta l’esaltante ricchezza della vita, senza filtri, senza sconti, senza ipocrisie.


La sua poesia A mia madre, le ha dato soddisfazioni, cosa pensa poeticamente della parola mamma oggi ?
La poesia “A mia madre” è stata una delle prime ad essere premiata, poi anche le raccolte successive hanno ricevuto premi riconoscimenti. La parola madre ha un taglio più deciso e sacrale della parola mamma, che però è onomatopeica, quindi tecnicamente se la giocano alla pari perché anche il sacro nella sua primitiva accezione di accesso al mistero rimane un concetto fortemente poetico. Questo considerando che la forma dovrebbe essere, quando non è viziata, il manifestarsi della sostanza e viceversa il concetto, quando non è falsato, dovrebbe appunto informarsi, trovare la sua forma manifesta e comunicativa
La nostra società, il rapporto problematico con l’adolescenza, è il tema del libro Figlia mia, ci racconta in breve il suo punto di vista ?
Viviamo dei giorni veramente difficili. Viviamo scissioni identitarie continue e pressanti. La società liquida, per dirla con Bauman, è imperiosa e impietosa. Con tutta la sua carica distruttiva, è difficilissima da arginare per un adulto, immaginiamoci per un bambino o un adolescente! È una società distruttiva perché perennemente distrugge ciò che crea per sostituirlo con nuove creazioni o prodotti con cui incantare l’utente, perché ormai siamo tutti utenti acritici o clienti: non creiamo più la nostra realtà, ma lasciamo che altri creino, attraverso i servizi, un mondo in cui poi dobbiamo vivere. È persino riuscita ad annullare il tempo, facendo concorrenza Einstein, perché la velocizzazione delle sue pratiche è tale da andare incontro alla velocità della luce e oltre, quell’oltre per il quale il nostro cervello con i suoi ritmi fisiologici e tutti i nostri tessuti con la loro orologeria biochimica, non sono fatti, o non sono fatti ancora. Di qui le scissioni interiori e le manifestazioni esteriori delle stesse: psicosi e fanatismi, depressioni o esaltazioni, equilibri minati e sconvolti. Potere e denaro da strumenti si sono sostituiti al fine: se il fine è quello – faccio un esempio – di nutrire tutti gli abitanti del pianeta e quindi di distribuire la produzione alimentare, come mai mezzo mondo viene sfruttato da secoli dall’altra metà? Perché l’altra metà (anche meno della metà) ha cambiato e volutamente il suo fine e intende detenere tutto il potere e il denaro necessario a sfamare sé stessa a scapito della metà che resta. Comportamento più che mai distruttivo: quando ogni risorsa fosse terminata comunque si avrebbe l’estinzione. Anche se i soliti quattro gatti al potere pensano di farla franca e magari di trasferirsi su una città spaziale in orbita intorno alla terra. Nel caso di “Figlia mia” una ragazzina, istigata dalla madre denuncia il padre di violenza sessuale per ottenere un risarcimento in denaro. Fortunatamente l’amore per un coetaneo la portera’ a comprendere le ragioni profonde del suo agire,che ha provocato nel mondo degli adulti uno scompiglio per lei inimmaginabile.

Un noto studioso, una modella, che si incontrano per amore, nel libro Fata del mio cuore, dove scrive del sentimento, quindi l’amore è un gioco serio, come stanno le cose nel libro ?

La genesi di “Fata del cuore mio” è complessa e articolata. Il termine fata, che può risultare edulcorato, in realtà era l’unico veramente adatto a descrivere l’alchimia e la magia dell’innamoramento, una delle forze più potenti, utile a compiere un viaggio nella propria coscienza. Viaggio che Diobono compie, grazie all’incontro con la giornalista, nel profondo segreto di una coscienza che gli si rivela e che riconosce come propria. Dunque il noto studioso s’innamora della giornalista e non si innamora mai della modella/ escort con la quale si accompagna per ragioni di lavoro e con la quale stabilisce un rapporto di forza/potere e che si manifesta quale carica stregonesca con la sua follia persecutoria nei confronti dei due innamorati. Anche qui il termine stregonesco ha una valenza incantatoria perché si va a legare alle legittime ambizioni dello studioso che ha dedicato un’intera esistenza alle proprie passioni. Le vedrà infatti sfuggire insieme alla propria vita, proprio perché sopraffatto dalla violenza psicologica, morale e fisica della modella, ma avrà riconquistato sé stesso e la consapevolezza di cosa è il vero amore, quello che nasce da un’intesa profonda e sentita da entrambi, Rico e Amo, che rimane sempre allo stato nascente o sorgivo e affronta e supera le difficoltà perché è, nella sua essenza o sostanza, l’irruenza della vita stessa, contro la quale nessuna stregoneria può valere, nemmeno quella della morte. Eh si’ l’amore, come la vita, e’ un gioco serio e anche una serieta’ giocosa, quella che fa dell’ironia,del sorriso e dell’accettazione reciproca gli strumenti principi della propria esistenza.

Le due raccolte di poesie, In amore per amore con amore, complimenti, per il titolo, che si lega con Sorrisi Segreti. Poche parole, pochi versi, la propria interiorità, come nasce il rispetto dell’intimo, spesso preso oggi a calci, o quasi, grazie al linguaggio dei social ?

Dopo “In amore per amore con amore e “ Sorrisi segreti ” è nata una terza raccolta, “La leggerezza” che ha vinto, a Montefiore, la pubblicazione gratuita. Come può sembrare evidente, credo fortemente nella forza della vita, intesa appunto come vis, ovvero la forza libera e selvaggia, la ἐνερϒεια, l’azione continua, che muove l’essenza pura a farsi atto perpetuo d’infinita esistenza. L’amore ne è una manifestazione tangibile, come d’altra parte lo è l’odio, ma il secondo si consuma insieme al suo elemento d’elezione, mentre il primo in genere porta alla gioia, intesa come fusione degli opposti e ricongiungimento alla fonte inestinguibile dell’origine e della creazione. L’anello di congiunzione è l’Incarnazione. La mela rubata all’albero della conoscenza non ha prodotto alcun peccato originale e nessuno è venuto a salvarci. “Verbum caro factum est” sta a significare che Cristo e tutti noi fatti ad immagine e somiglianza, come lui figli di una stessa cellula madre e, ancora prima, del Vuoto primordiale ((buchi neri- antimateria), entrando nella dimensione dello spazio-tempo, ci siamo fatti carne, per consentirci l’esperienza di noi stessi, trasformando l’energia in azione e moto, tra astri e mondi, particelle elementari e atomi, tra membrane e cellule, tra corpi, cose, fatti, accadimenti. La funzione dell’intelletto, o funzione mentale diventa la basculante tra la bellezza e la sua assenza, quello che chiamiamo bruttezza, il bene e la sua assenza, quello che chiamiamo male, la luce e la sua assenza, quello che chiamiamo buio. Prevede, in un processo che non può escludere la responsabilità, né consapevolené inconsapevole, anche quello che chiamiamo scientificamente “errore” e la sua “correzione, in un moto di tesi, antitesi e sintesi di matrice idealista, ma non lontano dal fallibilismo popperiano. Ne “ La Leggerezza” la triplice ripartitura dei componimenti nelle cornici avverbiali del Quando, Dove, Come sta ad indicare che ancora oggi, reale o virtuale, ma certamente vero, resta l’essere presenti nel qui e ora, come un’irruzione, una dispiegazione, dell’essere nell’esistere del cui Come è necessario assumersi ogni possibilità, ogni libertà e ogni conseguente responsabilità. Inutile chiedere il Perché, dispiegandosi perennemente l’essere sotto i nostri occhi, tanto da annullare i concetti stessi di eterno e di infinito fino a farli coincidere con Il mai iniziato e Il mai terminato, dunque con l’istante nel suo esatto, perpendicolare accadere o manifestarsi. E allora l’unica variabile resta il Come: con Leggerezza, dunque, che è profonda conoscenza e dolcezza di sé, tutto il contrario della superficialità, umilissima accettazione, invece, di essere, sia pure nell’esistere, invincibilmente umani, umilmente Dei. Leggerezza, che è leggiadria, bellezza pura del sentirsi e accettarsi quale Energia Vivente, respiro ampio, diapason dell’essere e sangue vivo, fluida emozione dell’esistere.

È evidente che tutto questo e non solo si concentra in pochi versi, diventa un distillato prezioso della propria interiorità e non sempre è facilmente condivisibile sui social dove imperversa il rimario rispettabilissimo della cosa o fatto o sentimento ormai “caduto”, cioè accaduto. In genere però il senso dell’annullamento del tempo, (oggetto della prima raccolta) e dello spazio (oggetto della seconda oltre al concetto di vibrazione e dunque di suono, quindi anche di parola) arriva con forza e desta attenzione e spesso condivisione. Quindi un linguaggio scarno, ma frutto di profonda riflessione, può avere la sua potenza, più di tante vuote parole. Non è il caso di quello usato sui social perché la velocità di reazione non consente ampia riflessione se non a chi non ne è maestro. Perciò, lo ammetto, pubblico poco sui social un po’ perché non ne ho il tempo, un po’ perché sono una vetrina “usa e getta” e francamente ho rispetto per la fatica, se non per i risultati, cui la mia introspezione instancabile mi porta a compiere, a scapito della gioia profonda della condivisione che pure, al di là dell’esibizionismo vano, provo intensamente.
