Intervista a Gabriella Dipietro

Visita il sito web : http://www.gabrielladipietro.com/

Iniziamo con un recente evento tenutosi a Trieste, mi riferisco alla mostra fotografica “Donne con la testa fra le nuvole” di Fiorella Dipietro, ove ha curato l’introduzione, di una mostra definita al femminile, di cosa si tratta precisamente?

Una mostra fatta da una fotografa ma soprattutto da una donna, Fiorella Dipietro, per le donne. La Dipietro comincia a dedicarsi alla fotografia fin da giovane, ma è nel 2008 che fotografa all’estero i suoi primi riflessi delle vetrine. Con il tempo si rende conto che si concentra istintivamente sui riflessi che si creano sul volto delle donne (modelle o manichini) poste all’interno delle vetrine, dove si scorgono negli sfondi angoli caratteristici di Trieste, cieli, nuvole. Lo fa senza alcun tipo di rimaneggiamento a livello di saturazioni o esposizioni, senza uso di photoshop o altro programma, quindi con foto in purezza; quello che vede fotografa. Ne risultano rappresentazioni di donne sognatrici, ognuna alle prese con i propri pensieri e le proprie prigioni. Donne perfette, protagoniste insospettabili, donne che desiderano solo essere riscoperte e valorizzate. Manichini a cui si dà finalmente una voce della loro memoria privata e che diventano inconsapevole specchio del nostro territorio. Il pianeta femminile viene scrutato con sguardi gentili, fotografando qualcosa che solo pochi riescono a scorgere, un’esperienza nell’esperienza, in cui anche la scenografia diventa parte fondamentale della narrazione.

Si legge nelle sue note che lei si occupa di comunicazione, come di pittura, come sono nate queste passioni, come prendono corpo realmente? 

Cominciamo con la pittura. Quando avevo 5 o 6 anni erano tempi in cui andava di moda la carta da parati, e a casa mia ce n’era una stupenda: fondo panna con dei filari di piccole rose lilla fino al soffitto… io ho visto solo che era carta. Credo di averle prese, ma come una delinquente seriale ho continuato a fare pupazzi e disegnetti di nascosto dietro le poltrone che spostavo meticolosamente per non farmi beccare mentre sporcavo quella bellissima carta da parati. Qualche anno dopo mio padre, per salvaguardare le pareti di casa, mi ha iscritta a un corso di pittura extrascolastico da un pittore acquarellista, Lido Dambrosi; un periodo bellissimo, studiavo poco, ma passavo interi pomeriggi in Atelier per pitturare ad acquarello, a olio e, con una dispensa di mio padre, facendo lezioni di rappresentazione del nudo con modella. Negli anni poi ho frequentato altri pittori e dal 2009 ho cominciato a seguire l’Atelier di Livio Možina approfondendo la tecnica della pittura a olio con un orientamento realista. Non si finisce mai di imparare e se c’è la passione bisogna continuare a coltivarla e nutrirla. Dipingo un po’ di tutto, ma la cosa che preferisco è studiare delle scenografie dove la presenza umana è inevitabile, rifacendomi a volte a storie di personaggi tratti dalla letteratura o dal teatro. Ho all’attivo sette mostre personali sia a Bologna che a Trieste e almeno un centinaio di mostre collettive. L’ultima risale a giugno di quest’anno alla Galleria Rettori Tribbio proprio a Trieste dove ho riscosso un discreto successo, considerato che sono state vendute praticamente un terzo delle opere esposte.

La passione per il campo della comunicazione è nata più di recente. Negli anni 2000 ho cominciato ad appassionarmi agli studi di psicologia e comunicazione come autodidatta e nel 2004 ho fatto un Master all’Università di Trieste in analisi e gestione della comunicazione pubblica e privata. Ho continuato ad approfondire questa materia per diletto e per naturale inclinazione e nel 2014, in spirito di amicizia, ho curato la presentazione di una mostra d’arte collettiva qui a Trieste: gli artisti erano contenti e si congratulavano con me per la dialettica unita alla mia sensibilità artistica da “addetta del settore”. Questa cosa delle presentazioni mi piace e mi appaga. Nel corso degli anni sono stata chiamata diverse volte per presentare esposizioni e curarne la parte di diffusione mediatica, i comunicati stampa e quanto altro necessario. Dalla fine del 2018 questa attività si è intensificata. Ripeto, è una cosa che faccio per diletto, e forse quello che più piace nelle mie presentazioni è che ragiono come una pittrice, capisco le tecniche, le materie, conosco l’Arte in generale, alcune cose di più, altre forse di meno, ma laddove non mi viene d’aiuto la conoscenza, cerco di approfondire il discorso se mi è utile per spiegare o indagare l’anima di un pittore di cui curo l’evento.

Guardando il suo sito webhttp://www.gabrielladipietro.com si possono vedere diversi dipinti. Si ricorda il suo primo dipinto, oggi alla luce della sua esperienza con la pittura cosa vi è di nuovo, cosa ama invece del suo passato, quale vecchissimo pittore, invece, si sente di consigliare ancora oggi? 

Il primissimo quadro era una copia dal vero di un gallo, sulla base di un galletto impagliato dalle penne coloratissime presente nello studio del pittore Dambrosi. Non c’era un disegno a grafite alla base, ma l’avevo dipinto direttamente con la china, utilizzata come si usa l’acquerello.Sono state tutte importanti le esperienze del passato, perché mi hanno consentito di essere quello che sono; quello che faccio adesso è frutto di quello che ho imparato e che sto continuando ad imparare. La sperimentazione continua, continua sempre.

Che pittore mi sento di consigliare? Perché non una pittrice? Artemisia Gentileschi. Artemisia, pittrice del 600, segnata per sempre dallo stupro subito in età adolescenziale dal pittore e maestro di prospettiva Agostino Tassi, è stata espressione del tormento dell’anima nella ricerca di capire ed affermare ciò che sentiva di essere in un mondo che la limitava e la soffocava nel suo bisogno di libertà. La sua arte e le sue scelte di vita sono frutto di questo tormento, di una rivalsa per quanto subito, espressione di una ricerca della propria identità interiore e di ribellione rispetto allo status sociale che sacrificava la donna strettamente alle mansioni domestiche, ad un protocollo che le dedicava al ricamo, ad una pittura “da donna” consistente in fiori e nature morte. Donna di intelletto pure che, da autodidatta, ha imparato a leggere e scrivere per dedicarsi poi alla lettura delle opere di Petrarca o Tasso. In questo modo è riuscita a tener testa e collocarsi nella società aristocratica dell’epoca, entrando nelle  corti e frequentando i personaggi più rilevanti e influenti del tempo, come Galileo Galilei, di cui era amica.

Un’altra recente mostra da lei introdotta, come si legge sempre sul suo sito web, è quella di Rossella Ghigliotti dal titolo “Sinapsi impreviste”, ove si tratta di sensazioni, emozioni, gioie della vita, Cosa pensa di questa esperienza creativa in mostra?

 L’Arte è tale in ogni sua forma, nella fattispecie si tratta di pittura informale che si sottrae al figurativo, alla geometria oppure al rigore matematico che caratterizzano l’astrattismo, per diventare un percorso emozionale. La Ghigliotti si esprime in questo modo da poco più di un anno, facendo erompere la sua libertà creativa ideando sulla tela contrasti cromatici espressi con la forza della pittura che si fa materia con l’uso della spatola, ma anche con le stesse mani che affondano nella purezza e pastosità del colore per imprimere la sua passione e realizzare quella metarealtà che rappresenta il dedalo del suo inconscio.I colori, uniti talvolta con l’uso di carte e colle e polistirolo, vengono messi sulla tela così come arrivano, in una specie di folgorazione che scaturisce dalla sua mente per poi arrivare alla mano che ne è mero esecutore. Usa tinte che sceglie d’istinto, influenzata da quello che sente nel momento stesso che comincia un’opera.

Parliamo di comunicazione, come la radio, ad esempio, la televisione, oggi trattano l’arte, non solo dato la grande presenza in Italia di patrimonio artistico, cosa pensa si debba fare per valorizzare nella scuola l’arte?

C’è stato un progetto a Caserta l’altro anno, nel 2018, e mi è piaciuto molto: bambini che si sono cimentati a copiare capolavori di Caravaggio, Modigliani o Klimt. Farei questa sperimentazione anche in altre realtà scolastiche: copiare sta alla base dell’insegnamento artistico ma in generale vale per tutta la cultura. Si impara dai grandi e poi si diventa grandi. Nella fattispecie i ragazzi guardano in maniera più approfondita un’opera, imparano a vedere la direzione delle pennellate, a miscelare i colori che più si avvicinano a quello che devono riprodurre. Gli artisti poi vanno conosciuti e amati: va anche bene studiare date e numeri e titoli di opere, ma dietro ogni artista c’è una storia che è la storia di un’epoca. Diventa affascinante sapere come vivevano, cosa mangiavano, le esperienze che hanno avuto, il loro carattere. Adoro le trasmissioni che manda in onda un’emittente dedicate agli artisti e alle epoche storiche. Per valorizzare l’Arte nelle scuole, quindi, sarebbe bello far vivere esperienze pittoriche in prima persona ai ragazzi facendoli contestualmente avvicinare alla “vera” storia degli artisti in quanto uomini e donne.

Oggi il detto “impara l’arte e mettila da parte” è ancora vero secondo lei, in che modo personalizzare, entriamo forse nel complicato, la teoria, quali consigli dare ai giovani, soprattutto ai giovanissimi?

C’era una cosa che mi diceva a volte il mio primo insegnante di pittura: gli amici ci sono e non ci sono, le mogli possono cambiare o mancare, il lavoro esserci o meno. L’Arte è totalmente una cosa tua. Non ti verrà mai a mancare, nessuna te la potrà mai togliere, lei ci sarà sempre con te. Un’ancora di salvezza in pratica per focalizzare sempre che ognuno di noi è unico, e avere una passione personale (in questo caso l’Arte) ti aiuta a vivere e sopravvivere anche nei momenti più bui della vita.


Il suo rapporto con la cucina

E’ un’Arte anche quella, se fatta bene. Ho sempre amato cucinare, sentire gli odori piacevoli delle spezie, miscelare ingredienti che magicamente (o quanto meno grazie ad una questione chimica) cambiano e si modificano. Per non parlare dei colori della verdura e della frutta… ottimi soggetti per nature morte (anzi vive).

Il suo artista preferito?

Magari fosse uno solo… credo, quasi alla pari con Caravaggio e la Gentileschi, Leonardo da Vinci: un genio capace di coniugare nel medesimo foglio delicatissime Madonne con distruttive macchine da guerra e di tortura. Un genio nel bene e nel male. Mi ricordo che quando ero piccolina di notte prima di addormentarmi mi chiedevo cosa avrei fatto da grande, e pregavo il Signore di diventare almeno solo un pochino come Leonardo. No, non lo sono diventata, ma continuo ad applicarmi, cercando di fare quello che più mi piace con passione.


Progetti per il futuro?  

Carpe diem. Ho chiuso da un paio di mesi la mia settima personale ma ho già in cantiere l’ottava. Realizzare quadri, con il livello che mi piace di più, mi porta via da uno a due mesi per opera. Per fare una mostra decorosa i quadri da preparare devono essere minimo una ventina, quindi direi fra 2 o 3 anni, un tempo giusto per realizzare un’altra mostra… da favola. E non uso casualmente il termine.

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