
Normalmente il corpo delle persone con disabilità è vissuto in maniera problematica, è fonte di sensazioni ed emozioni negative. Nell’Altro, la vista di un corpo menomato, diverso o privo di coordinazione può indurre reazioni emotive che vanno dal disagio momentaneo, al vero e proprio disprezzo/rifiuto.
Praticare sport da parte di chi ha una disabilità o assistere a delle competizioni sportive i cui atleti hanno queste particolari caratteristiche, rompe il binomio corpo menomato-emozioni negative e sovverte la rappresentazione psicosociale della disabilità da tabù da rimuovere e occultare, a simbolo di tenacia, forza di volontà e resilienza.
Praticare sport consente, innanzitutto, di ristabilire la connessione tra mente e corpo. Normalmente chi ha una disabilità ha la tendenza ad utilizzare il meno possibile il proprio corpo, ad ignorarne i segnali finché è possibile. Il corpo delle persone con disabilità è negletto, in primis dalle stesse persone con disabilità, è abbandonato a sé stesso, salvo interventi medicali e fisioterapici che hanno l’obiettivo di preservare lo stato di salute, spesso nell’illusione di poter guarire.
Nella preparazione atletica e mentale per una competizione sportiva è necessario, al contrario, conoscere il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità, “ascoltarne” le sensazioni e i feedback psicomotori, ideare nuovi pattern di azione al fine di renderlo più efficiente. Per fare ciò è necessario un cambio di paradigma: se prima si cercava di normalizzare il corpo attraverso trattamenti fisioterapici o medicali, spesso con scarsi risultati e con molta frustrazione, nell’approcciarsi ad una preparazione atletica è necessario fare un click con il quale si accetta il corpo per quello che è, si impara a rispettarlo e a valorizzarlo nelle sue potenzialità, andando ad adeguare il modo di pensare il movimento e le azioni in maniera diversa. Per fare un esempio: nelle gare di atletica leggera paralimpiche si vedono concorrenti con amputazioni al di sopra del ginocchio. Questi atleti non potendo piegare l’articolazione, al fine sfruttare le protesi hanno la necessità di fare un movimento rotatorio con l’anca dall’esterno verso l’interno nella fase di allungamento della gamba per fare il passo. Alla fine il risultato è una prestazione di poco inferiore a quella di un atleta che non ha amputazione.
Ovvio che è cosa più facile a dirsi che a farsi. Non è così semplice adottare delle modalità differenti di compiere gesti diventate automatiche nel corso del neurosviluppo. Deprogrammare e riprogrammare i nostri pattern di azione è cosa molto difficile, è necessaria molta applicazione e perseveranza. Molto spesso si incontrano resistenze a causa dell’imbarazzo e della vergogna. Inutile nasconderselo, un corpo differente quando si muove può produrre movimenti sgraziati o semplicemente inusuali che in persone con un occhio disabituato possono indurre disagio o peggio ancora ilarità. È necessario per questo che l’atleta abbia la possibilità di sviluppare le proprie tecniche senza interferenze.
Ripristinare una dialettica con il proprio corpo ha un immediato impatto positivo sull’autostima, in quanto esso non è più percepito come entità giustapposta alla persona che è fonte di dolore, disagio ed imbarazzo, ma strumento per vivere sensazioni ed emozioni positive. Le emozioni sono la terra di confine tra lo psichico e il corporeo: non c’è emozione che non sia collegata a degli aspetti psico-relazionali e che al tempo stesso non si manifesti attraverso il corpo o comunque non abbia un correlato fisiologico. Esiste un reciproco scambio tra mente e corpo nel momento in cui sperimentiamo emozioni: la mente le innesca e il corpo da ad esse possibilità di esistere, di vivere, di espandersi e trasformarsi. Nel momento in cui si fa sport, soprattutto se si partecipa ad una competizione sportiva, le emozioni che normalmente sono imbrigliate hanno la possibilità di rivelarsi, di essere espresse e vissute. Il ripristino di un equilibrio fisiologico delle emozioni comporta effetti positivi sul benessere psicologico e sulla prevenzione delle patologie psichiche: provare una rabbia intensa senza poterla agire può dare adito a pensieri ricorsivi e ossessioni, così come il subire passivamente un corpo che invia sensazioni dolorose o fastidiose alla mente senza poterlo muovere alimenta ansie e angosce. Al contrario, dare movimento al corpo consente la scarica dell’aggressività e copre le sensazioni ansiogene.
Per molti l’attività sportiva è un modo per ritrovare un’integrazione identitaria a seguito di una discontinuità traumatica tra la vita pre e post menomazione. Le persone che diventano repentinamente disabili a seguito di una malattia o di un incidente, il più delle volte avevano solo una vaga idea delle potenzialità di una persona con disabilità. Lo stereotipo riassunto nelle espressioni di uso comune “ridotto su una sedia a rotelle” o “costretto su una sedia a rotelle” è quello di una persona che, una volta perso l’uso delle gambe non potrà più ambire a vivere la vita, bensì solo a sopravvivere. La preparazione atletica e l’attività sportiva è uno degli svariati setting per sperimentare le potenzialità della propria condizione.
Non bisogna dimenticare che ci sono persone sono diventate disabili a seguito di aggressioni violente. Nel nostro Paese non è molto frequente, in altri purtroppo è realtà all’ordine del giorno. Si pensi ai bambini amputati vittime della pulizia etnica e dei genocidi in Africa o nei Balcani. Si pensi a chi diventa disabile a causa di ordigni esplosivi. Per alcuni di loro, i più fortunati bisogna dirlo, lo sport è un modo per superare la rabbia, la paura, il senso di impotenza e vulnerabilità, la sofferenza legata all’aver assistito al destino ancor più tragico di cari.
Ma lo sport delle persone con disabilità è diventato anche un grande evento internazionale e mediatico con le paralimpiadi. Coinvolgendo centinaia di migliaia di spettatori ad ogni edizione, stanno contribuendo modificare su larga scala gli atteggiamenti nei confronti delle persone disabilità anche molto gravi, mostrando la voglia di vivere, di impegnarsi e di competere degli atleti. Di certo hanno rotto la cappa di vergogna che rendeva la disabilità un tabù da nascondere. In alcune culture, come quella cinese e quella russa, quest’idea che i disabili dovessero essere emarginati, messi in istituti o comunque tenuti nascosti nelle case era e probabilmente è molto forte. Nel 1980, anno in cui si svolsero i giochi a Mosca, non si disputarono le paralimpiadi in quanto la Russia ne disconosceva il valore, affermando che nel loro paese non c’erano disabili. Fu così che si interruppe una tradizione ormai ventennale inaugurata con le olimpiadi che si svolsero a Roma nel 1960. Il 2008 con le paralimpiadi disputate a Bejing (Cina) e il 2014 con l’edizione delle paralimpiadi invernali di Sochi (Russia), sono stati 2 anni dirompenti dal punto di vista culturale, con due fortunatissime edizioni dei giochi paralimpici disputati sul territorio dei due colossi totalitari.
In conclusione, lo sport impatta a livello psicocorporeo, emotivo, relazionale e psicosociale. È importante creare sempre più occasioni per praticare sport, anche in maniera inclusiva, quindi non solo tra atleti diversamente abili, ma prevedendo delle possibilità di confronto e competizione sportivo tra persone che hanno deficit fisici e persone che non ne hanno, in modo da favorire un senso di pari dignità fra tutte le persone.
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